Nell’Annus horribilis della Pandemia, i disagi e le fragilità tra gli adolescenti si sono moltiplicati a dismisura. La nostra bidella che si occupa del primo soccorso, negli ultimi giorni chiamava l’ambulanza anche tre volte al giorno, per crisi di panico e svenimenti. Una situazione triste, e ancora più difficile da affrontare quando la sofferenza è meno plateale. Una mia studentessa di quinta aveva fatto trapelare, verso dicembre, che forse non si sarebbe presentata all’esame di maturità. Non si sentiva abbastanza concentrata, diceva. Aveva dei disagi psicologici, e la psicologa non la incontrava se non on line, e al telefono è difficile parlare, soprattutto se sei a casa e i tuoi genitori sono al di là della porta.
Insomma, tutti noi docenti l'abbiamo cercata e le abbiamo detto di non rinunciare, tutti eravamo pronti ad aiutarla: l’esame quest’anno non sarebbe stato troppo complicato e poi chi se ne importa del voto! Finisci la scuola, lasciati alle spalle questo brutto periodo, vai a costruirti una vita che ti piace… le solite cose, ma erano vere. E lei ha risposto quello che chiunque abbia affinato un po’ di strategia scolastica risponde ai professori: “Certo certo, era solo un’idea… Non si preoccupi”. A scuola è presente in modo altalenante, qualche giorno non si vede, poi torna. Finché nelle ultime settimane non viene più. Non risponde al telefono. Non risponde ai compagni che la cercano. Non rispondono neanche i genitori. È una scelta deliberata? È il buco nero della depressione? Resta il senso di impotenza, il dispiacere di aver fatto poco: una telefonata o due, che bastano a mala pena a me per mettere a tacere la coscienza, e per niente a lei, sola davanti ai suoi mostri personali.
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