Vi ricordate di Renzi e della Buona Scuola? Tra le tante (contestatissime) riforme, oltre ai “presidi sceriffi” e all’autonomia scolastica era stato istituito anche un fondo per dare un premio in denaro ai professori più meritevoli. Un tentativo di arginare il famigerato lassismo: faccio bene o no, lavoro o scaldo la cattedra tanto prendo gli stessi soldi. L’idea naturalmente era buona, ma l’applicazione è sempre stata lasciata nel vago. Ogni scuola decideva in autonomia i criteri di assegnazione, che quasi mai erano realmente legati alla didattica. Anche perché stabilire in modo “oggettivo” chi è bravo a fare il suo lavoro e chi no, è praticamente impossibile se non hai come nelle aziende private obiettivi da raggiungere facilmente misurabili, o almeno un ispettore che entri in classe a valutare il docente.
E così almeno nella mia scuola negli anni i criteri sono stati vari, e i dati per costruire una classifica erano raccolti con questionari di auto-valutazione nei quali si chiedeva conto di “pratiche didattiche innovative”, “uso di strumenti informatici”, partecipazione a premi e concorsi per le scuole, impegni in commissioni, progetti, funzioni strumentali, tutte attività utilissime ma che non sono mai strettamente legate alla didattica in classe.
Questa settimana nella riunione sindacale è stata annunciata la definitiva scomparsa della valorizzazione del merito. Requiem.
Dall’anno scorso i soldi allocati sono entrati nel calderone del fondo di istituto. La nostra rappresentanza sindacale – forse per il Covid – ce lo ha comunicato adesso, ma dal momento che si è sempre tentato di ampliare il più possibile la platea dei beneficiari, in effetti economicamente cambia poco.
So che quest’anno, per la mia funzione di coordinatrice di dipartimento (pari al grado di caporale nell’esercito) prenderò un bonus di 7 ore, pagate 17.50 lordi ciascuna. Con tanti saluti alla meritocrazia.
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