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Rispetto

silviabogliolo

Il 19 gennaio è stata istituita la prima giornata del Rispetto. Nella mia classe seconda ho tempo, il programma non incalza e decido di parlarne. Scrivo 3 domande (in inglese) alla lavagna che riguardano il Rispetto – Perché è necessario? Quali sono degli esempi di rispetto che trovi significativi? Ti sembra necessario istituire una Giornata del Rispetto? – chiedo ai miei studenti di sceglierne una e prepararsi a rispondere. Ci pensano, in classe c’è un po’ di “brusio creativo”, e poi cominciamo a confrontarci. La discussione procede abbastanza bene. Parlano, l’inglese si capisce abbastanza, dicono cose giuste e neppure troppo ovvie. Poi una ragazza, tra gli esempi di rispetto, tira fuori il Fairplay. Bene, mi sembra un ottimo spunto. La lodo e sottolineo quanto sia importante il rispetto nello sport. “Ah, no, nello sport no!” esclama la “testa calda” della classe. Simpatico, strafottente, sempre ai limiti della provocazione, fa parte degli studenti che mi tengono immancabilmente impegnata. È una sfida personale: voglio insegnargli l’inglese, l’impegno e il comportamento scolastico.

La “testa calda” esprime il suo punto di vista: “Io, quando gioco, picchio duro. Se faccio male, gli avversari mi temono, non mi si avvicinano e ho gioco più facile”.

“Ma? E le regole?”

“A calcio me ne frego delle regole. Io gioco per vincere.”

“E l’arbitro?”

“Ovvio, colpisco quando l’arbitro non guarda.”

Provo con i vecchi metodi, le frasi fatte: se tutti fanno così, diventa una rissa, non una partita.

“Se qualcuno fa male a me, divento ancora più aggressivo, perché allora sì che devo colpire forte.”

Passo alla bellezza del rugby, del terzo tempo, del piacere di festeggiare tutti insieme dopo la partita, perché non si è nemici, ma si è tutti lì per giocare una bella partita.

“Gli avversari non sono amici, solo i compagni di squadra sono amici.”

Siamo alla fine dell’ora. Non ce l’ho fatta. Una volta un formatore diceva che se faccio una lezione sul razzismo, devo accettare la possibilità che qualcuno in classe sia effettivamente razzista. Dunque, se faccio una lezione sul Rispetto, mi sta bene avere in classe un ragazzino che se ne frega del rispetto e delle regole?

Sospendo la conversazione ma non demordo.

Assegno un compito: “Nella prossima partita, sforziamoci di pensare all’avversario come a una persona che merita rispetto”. Mi guarda e fa spallucce.

Per ora mi fermo qui. Ma covo la vendetta: aspetto un’occasione, una volta in cui mi chiederà un favore, si giustificherà perché non ha fatto i compiti o qualcos’altro, per pugnalarlo: “So che tu non rispetti le regole, perciò non credo di potermi fidare di te…” Non mi aspetto di vincere facile, ma affilo le armi…

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